Adhærére

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Aderire, dal latino ad-hærére. Stare attaccato a. Stare appoggiato, stare vicino.
E dal greco airèo, prendo, afferro, traggo a me.
Aderire ha tanti significati: sostenere una causa, attaccarsi, incollare, condividere un’idea…

Mi interessa invece un aspetto meno noto o meno immediato del significato.
La simmetria e la transazionalità.

Aderire ti rende simmetrico al resto, questo sempre.
Esistono cioè almeno due prime file di atomi lungo l’ideale linea di giunzione, esattamente simmetriche rispetto alla linea stessa; quanto poi in realtà sia più profonda questa simmetria sta nella forza della colla, nella radicalità del verbo.

La transazionalità invece non è scontata anche se in generale auspicabile.
Questa unione, questo combaciare, mi porta (o mi ha portato) ad evolvere il mio stato, ad adattarlo ad un nuovo essere (verbo).
C’è un passaggio sia prima che dopo: quello anteriore è la scelta, raramente infatti si combacia per impatto, molto più spesso, per questo motivo si può rimanere incastrati, avvinghiati da qualcosa che ci soffoca, che ci limita, ci blocca. No, la scelta è volontaria, punto. Al limite inconsapevole.
Il passaggio che avviene dopo è la transazione, qualcosa di me che va oltre la soglia, qualcosa che va nell’altro, qualcosa che cresce, è inevitabilmente qualcosa che lascio o perdo di me.
In questo si perpetua un’eterna memoria: quella parte da me abbandonata, da me regalata, rimane sostanza nell’altro. Per sempre ne darà a coloro che vi si accosteranno.

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