Straordinariamente

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È mentre cammino, in cucina, a piedi nudi, attento a non calpestare le linee tra le mattonelle del pavimento che ti vedo impegnata a fare troppe cose tutte assieme. Le conto e viene fuori un numero esagerato, troppo grande perfino le tue non comuni capacità. All’inizio non ci voglio credere ma un poco alla volta, mi accorgo che lo scopo reale di questa tua attività, è quello di distrarti per qualche istante da me; è lì in quel preciso momento in cui ti lascio, curioso, fare quello che sembra tu voglia, che mi ricordo del tempo. Provo a contare il numero dei giorni che sono passati dall’ultima volta e sobbalzo, ma ancora di più mi scuote il senso di vuoto che tutto questo spazio occupa. Ho perso un battito e un respiro, si accoppiano perfetti solo in questo momento. Non lo potevo immaginare, rimango così sospeso sul bordo di una qualunque parola che neonata, dondola sulla punta della lingua. Sono per natura e forse necessità, all’ascolto ma ora vorrei parlare, vorrei dire, raccontare. È solo che non ci riesco.
Resto lì a fissarti, rapita dai tuoi compiti imprecisati; ad un tratto te ne accorgi e questo mi costringe ad imitarti: ritraggo lo sguardo attonito per non farmi sorprendere, così, assente nella parola. Allora provo a guardarmi intorno per darmi un ruolo: la stanza è fredda e anche se è illuminata da una grande finestra, la luce che entra da nord non scalda mai come a meridione nel nostro emisfero. Come uno sgraziato ballerino, passo, scomodo, tra le piastrelle, illuminato da una luce diafana sulle tende bianche. Fuori uno spazio verde spande il senso di sorpresa che mi ritrovo a gestire, impacciato di fronte a te.
Mi siedo al tavolo, in affanno e tu senza una sillaba ti avvicini e ti siedi sulle mie gambe. In silenzio accosti le labbra e mi sfiori il collo. Le mie mani scivolano così in un gesto semi-automatico, sotto alla maglietta, allargandosi sulla tua schiena. Si fermano sul gancetto, basterebbe un attimo. È quello che vuoi, è quello che voglio. Il tuo letto al piano di sopra aspetta ancora i nostri corpi, per i nostri spiriti è inutile, sono già intrecciati qui di sotto.
Esito.
Metto lì un vuoto libero di essere riempito, per quel tempo uno spazio di possibilità.
E non succede nulla.
Ma quand’è che succede veramente qualcosa?
Così dopo un po’, che a me sembra mezz’ora e invece sono solo pochi secondi, ti alzi e te ne vai.
Un passo più in là.
Non sono lì per quello.
Non c’è raccolta del vuoto a rendere, nessuno che ritira il vuoto per il pieno.
È quella traccia che corre a fianco delle vertebre, sulla curva più esterna della schiena, a trasmettere l’impeto di quell’impulso, la superficie increspata si erge sul filo della pelle, a raccogliere il peso del brivido di quel letto lasciato per scelta, straordinariamente vuoto, nello spazio lungo dei giorni d’estate.

Your Song- Moulin Rouge soundtrack

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